I fenomeni del “quarantismo”

cgs_40

 

di Lorenzo Antonazzo

Ascolti e riascolti Quaranta e sai che “la taranta è viva e non è morta”. La disoccupazione giovanile, il degrado della società, le problematiche ambientali: il male di vivere cambia nomi e forme, ma rimane un tormento comune, tanto più per l’uomo di oggi, che pare aver dimenticato i rimedi efficaci di un tempo. A ricordarti la terapia perfetta sono i componenti del Canzoniere Grecanico Salentino, veri e propri fenomeni del “quarantismo”.

Lungi da ogni operazione di tipo nostalgico o museale, per celebrare il proprio quarantennale il gruppo salentino capeggiato da Mauro Durante attinge al fondo più autentico della cultura popolare riscoprendo un linguaggio in grado di comprendere ed esorcizzare la realtà. Nessuno sterile attaccamento al benché minimo purismo formale, nessuna concessione ai ritmi ormai così in voga quando si parla di “pizzica”: semplicemente Quaranta racconta la riscoperta della felicità.

Si comincia con Tienime tata, brano che sin da subito mette in luce da una parte la tematica dell’intreccio generazionale, vena sotterranea che percorre l’intero disco, dall’altra l’inquietudine giovanile, non del tutto estranea al tema delle radici, di chi è appunto teso in modo tragico tra il calore della terra natia e l’aspirazione a cieli più tersi, dove i propri sogni possono forse trovare uno spazio.

Tata lu ientu e poi
li tramonti lenti
pena ca nu more mai
terra d’emigranti…

Su questa visione crepuscolare, che pare delineare il quadro di una società in cui la crisi (soprattutto quella dei valori) intacca ogni possibilità di gioia piena, irrompe subito la vera protagonista di quest’album, ovvero la danza. Con il canto tradizionale in griko Rirollalla, il CGS evoca quel ritmo antico e irrefrenabile che sa trasmettere il gusto della buona compagnia e l’aspirazione ad una letizia che non ignora le difficoltà, eppure non si lascia mai da esse determinare. Lo stesso ritmo che ha già infiammato i palcoscenici di mezzo mondo, che ad ogni latitudine smuove i piedi di chiunque, senza eccezioni. Nelle parole di Mauro Durante:

La danza in particolare, oltre che la musica, per definizione annulla le distanze. Quando ci si trova a ballare con qualcuno non c’è più una barriera, non c’è differenza di classe, non c’è differenza di sesso, non c’è differenza di religione, non c’è alcuna differenza: si è allo stesso livello, si è a contatto con la terra, ci si guarda negli occhi, ci si può toccare. E questo è un simbolo di quello che deve essere la riscoperta di una condivisione vera, fatta di contatto.

Non a caso, di condivisione e di contatto parla la traccia che risuona in questi giorni di più triste attualità. Solo andata è frutto dell’incontro tra Daniele Durante, uno dei fondatori del gruppo, ed Erri De Luca, che ha definito le canzoni di Quaranta “lettere spedite da un condominio in fiamme”. Musicare i versi del poeta, toccanti ma non troppo orecchiabili, deve essere stato arduo, per questo colpisce ancor di più il risultato finale, un accompagnamento in tutto e per tutto degno della bellezza delle parole di De Luca e delle immagini che esse evocano. Particolarmente emozionante la sezione strumentale in coda al brano: il video con la regia di Alessandro Gassman ha gioco facile nell’esplicitare le sensazioni di una canzone già di per sé molto suggestiva.

Il tono si fa più mordace con I love Italia, sorta di tarantella le cui strofe, una più acuta dell’altra, sono scritte in inglese dal cantautore Piers Faccini. Il brano, tanto più nel contrasto fra il testo e l’arrangiamento scanzonato, evidenzia tutte le contraddizioni del Bel Paese, quello che il ritornello richiama con ironia facendo appello ad immagini ingenue e stereotipate.

Mona Lisa’s smiling
but we don’t get the joke…

È a questo punto che salgono in cattedra Maria Mazzotta Massimiliano Morabito, l’una voce solista e l’altro organettista in una Ninna nanna che strega e che intriga. Così dolente, così accorata, da suggerire l’immagine di una madre che veglia il figlio fino all’ultimo dei sonni.

e ninnë ninnë e quantë të vogghjë benë
së benë nun të vulèssë ijë nun të cantàssë…

Una parentesi di quiete, un altro accenno alla solidarietà tra le generazioni, ed è subito tempo di immergersi in Taranta, titolo tanto impegnativo quanto importante a livello musicale è il suo nume Ludovico Einaudi. Pezzo moderno e ispirato, non a caso vicino al cuore del disco, dal momento che ne riassume appieno il concept, ovvero l’amore e la socialità (simbolizzati dalla danza) come unico possibile esorcismo al male.

e osce ca li tempi hannu cangiati
ci è ca po sentire lu miu dulore
e ci me porta l’acqua pe sanare
a ci chiedu la grazia pe guarire
nu sacciu ci è taranta ca me tene
ma nu me lassa e me face mpaccire
ci è taranta nu me abbandunare
ci balli sulu nu te puei curare…

Un percorso in ogni caso non così semplice: Mara l’acqua, il brano centrale, è un passaggio scuro, come il nero che i passi di danza cercano di dissipare sulla copertina. Un canto antico, di morte e amore precluso, una melodia arcaica che qui poggia solo sulla potenza di tre voci, tra canone e intrecci, e rende al meglio l’eccezionalità di un gruppo come il Canzoniere: un’anima solida e la perfetta compenetrazione di artisti eccellenti; nessuno (o quasi) indispensabile e tutti in stato di grazia.

Sin dal titolo, in No TAP trova spazio in modo più esplicito la critica civile, con chiaro riferimento al gasdotto che senza curarsi delle proteste minaccia il Salento. Parole salaci e una critica che sbeffeggia: inconfondibile l’impronta dell’ironia di Daniele Durante, così come d’altronde nell’incipit di Ziccate, pezzo che ci fa ballare sulle storture che noi stessi (prima ancora delle compagnie petrolifere) imponiamo al nostro territorio.

quiddhu ca li antichi n’ianu lassatu
senza vergogna l’amu squagghiatu
mo ci tuttu quantu nvelenamu
li sordi tocca ni mangiamu…

Emanuele Licci, già voce in No Tap, imbraccia il suo bouzuki per i due minuti scarsi di Pu e to rodo t’orio, altro brano tradizionale in griko, altro canto di un solitario infelice, di amore negato, che in questa interpretazione – come da qualcuno giustamente suggerito – ricorda da vicino la figura di certi bluesmen americani.

Ma è tempo di bandire la tristezza! È quanto i “fenomeni del quarantismo” sono venuti a curare e diventa ormai chiarissimo in Iessi fore, traccia che tra l’altro mette in luce la qualità di Giulio Bianco (coautore dell’arrangiamento) ai fiati. Senza eguagliare le vette poetiche toccate altrove nell’album, il testo esprime la necessità di rompere i muri dell’isolamento e propone come strada da seguire quell’esternazione nella pubblica piazza (sia pure oggigiorno quella globale) che soltanto la musica è in grado di propiziare.

apri la porta e senti cu lu core
nu ni nde sciamu ci nu iessi fore…

Si giunge per questo tramite a Quaranta, esperimento voluto dal produttore Ian Brennan nel quale è possibile sentire anche Silvia Perrone, ballerina del CGS, danzare su un’asse di legno. Una traccia criptica, praticamente astratta, che però funge da felice svolta per il disco. Il suono cupo che lentamente sfuma in chiusura, infatti, potrebbe rappresentare la nuvola scura che la danza ha infine disperso.

Ed è l’apoteosi: Respiri cantata dalla voce delicata e potente di Giancarlo Paglialunga. Amore al primo ascolto, musica che ti lusinga il cuore, ti resta in testa come un buon auspicio. L’idea che l’origine di ogni miglioramento, il fulcro stesso delle nostre esistenze, poggi sugli altri e sulla relazione che ci unisce a loro.

e de quandu nci sinti tie cu mie
ogni sogno è raggiungibile
statte de coste a mie nu te nde scire
nu voju me perdu mancu unu de
tutti li toi
respiri…

Non c’è di meglio per concludere i circa quaranta minuti di Quaranta. O forse sì, basta ascoltare bene e fino in fondo.

 

 

READ THE ARTICLE