Una bottiglia di Coca-cola con dentro della passata di pomodoro – la copertina di questo Canzoniere, il nuovo album del Canzoniere Grecanico Salentino – è una metafora di molte cose. Volendo, della stessa world music: polpa “di tradizione” in una nuova confezione accattivante per il mercato di massa.
Eppure, dal momento che il Canzoniere Grecanico Salentino è oggi, molto probabilmente, il gruppo italiano più visibile sul mercato delle musiche del mondo, forte di apparizioni sui maggiori palchi americani ed europei e ampiamente recensito dai media, la copertina di Canzoniere potrebbe anche essere letta come il simbolo di un rilancio del gruppo con un’immagine meno oleografica, meno gonnelloni svolazzanti e piedi scalzi, menotaranta power e più “di sostanza”, più “pop” (in senso positivo) e meno “world (in senso negativo).
Sono interpretazione libere, naturalmente. Ma ascoltandoCanzoniere non si può non notare come l’asticella della musica si sia alzata, pure in gruppo che, dopo il suo rinnovamento generazionale intorno a Mauro Durante, ormai dieci anni fa (un quarto della storia del gruppo, nato quarantadue anni fa), sulla qualità di quanto suonava e degli strumentisti ha sempre puntato molto.
Canzoniere, in effetti, è un disco prodotto benissimo, nato a New York da collaborazioni con autori e produttori di peso della scena americana: il danese Rasmus Bille Bähncke (già con Sting), che mette mano alla battiatesca “Moi”, fra i momenti migliori del disco;Michael Leonhart (Bruno Mars, Lenny Kravitz) che collabora sulla melodia a presa rapida di “Ientu”; Steve Skinner (Diana Ross e Celine Dion) che mette le mani in “Con le mie mani”; Scott Jacoby (Coldplay, John Legend, Vampire Weekend) cui si deve l’ipnotica “Lu giustacofane”. Con in più, bonus, la chitarra di Justin Adams, la voce di Piers Faccini e il violoncello Marco Decimo.
Molte idee musicali, bei suoni, cori curatissimi (con le voci di Alessia Tondo, Emanuele Licci, Giancarlo Paglialunga), un uso – finalmente! – intelligente e originale dei field recordings… Un disco che è davvero un salto in avanti in termini di produzione per la scena italiana. E fa ben sperare che si possa fare in Italia della buona musica folk-world (chiamatela come volete) per un mercato “di massa” senza adagiarsi (troppo) sui soliti cliché mediterranei e globalisti. Quarantadue anni dopo, un Nuovo Canzoniere Grecanico Salentino: speriamo possa presto vantare innumerevoli tentativi di imitazione.
Il Canzoniere Grecanico Salentino sarà in tour in tutto il mondo da novembre: partenza da “casa”, a Lecce, il 16 e 17 novembre. PoiParigi (29 novembre), Berlino (30 novembre), Firenze (1 dicembre),Mestre (2 dicembre), Roma (3 dicembre), Tallin (5 dicembre), Pärnu(6), Jõhvi (7), Tartu (8), Bruxelles (9), Milano (10), Londra (15).
No Review – “Canzoniere” del Canzoniere Grecanico Salentino è la pizzica che si apre al mondo
Il Canzoniere Grecanico Salentino, gruppo di musica popolare salentina fondato nel lontano 1975, torna con un nuovo album, pubblicato il 27 ottobre su etichetta “Ponderosa”, dal titolo rappresentativo “Canzoniere”.
L’album, che viene definito un “raccolto” di canzoni, è un viaggio intorno al mondo con sonorità che spaziano tra moderno e tradizione. Ci sono i tamburi, c’è la pizzica, la taranta, ma anche tanti strumenti elettronici, che si fondono con il sound tipico del CGS in maniera impeccabile, segno di un lavoro attento e meticoloso, mai ridondante. Non c’è niente di stucchevole, insomma. È come se Lecce incontrasse New York, ci dicono, come se ci trascinassero in uno di quei lunghi viaggi che hanno portato la formazione a divenire una delle maggiori esponenti italiane della world music.
Per meglio comprendere la portata dell’album, vi anticipo che per “Canzoniere” sono stati scomodati grandissimi nomi del panorama mondiale quali Joe Mardin, figlio del celebre Arif, produttore dell’Atlantic Records (ha lavorato con Norah Jones e Aretha Franklin, per capirci) che ha firmato la produzione del disco, e Joe LaPorta, vincitore di un Grammy per “Blackstar” di David Bowie, che è stato invece l’ingegnere del suono per il mastering. Già questi nomi, per chi ha avuto modo di vederli all’opera, sono indicativi di quanto sia ambizioso questo album, nel quale la formazione ha deciso di prendersi qualche azzardo.
“Quannu Te Visciu” apre il disco con un ritmo trascinante e un loop ossessivo; frutto di quell’incrocio tra vecchio e nuovo di cui vi parlavo, è un brano difficile da togliersi dalla testa e rappresenta la sintesi perfetta di tutto quello che possiamo trovare nell’album. Subito dopo il sound si rilassa, ci si avvicina alla natura fermandosi ad ascoltare il vento (“Ientu”). “Lu giustacofane” parla della propria terra, di tutto il male che ha subito, della voglia di proteggerla dalla mano degli speculatori e dalle aggressioni esterne. “Con le mie mani” vede le percussioni al centro della scena. Il disco poi prende fiato e si perde nella dolcezza di “Tienime”, quasi una lettera d’amore affidata al vento, uno dei pezzi più coinvolgenti del disco. Si torna alla tradizione e ci si scatena in “Pizzica de sira”, dove la band si aggrappa alle proprie radici e alle sonorità tradizionali salentine. A questo punto i toni si scuriscono e ci addentriamo nell’antico rituale greco dell’altalena con “Aiora”, pezzo in cui vi è un bel crescendo di strumenti popolari che si incrociano alla perfezione con la chitarra elettrica di Justin Adams. “Subbra Sutta”, dove risplende la voce di Piers Faccini, il cui inglese si incrocia con il salentino, è un bellissimo momento di colore che ci porta verso il finale che si fa scuro con “La ballata degli specchi”, poi dolcissimo con “Sempre cu mie”, per esplodere infine nei colori di “Intra la danza”.
“Canzoniere” è l’ennesima prova di forza del Canzoniere Grecanico Salentino, uno dei nostri vanti musicali in tutto il mondo. Un bel viaggio della musica salentina in America, che la colora di bassi e influenze black, mantenendo però salde le proprie origini popolari. E’ colore e buio, tradizione e modernità, voglia di andarsene a scoprire il mondo tenendo stretta nel cuore la nostalgia per la propria terra.
la nostra collaborazione con il collettivo di arte contemporanea Casa a Mare, che ha curato la copertina e i contenuti visivi del nostro nuovo album, finisce sulla prestigiosa rivista d’arte specializzata ARTRIBUNE!
on fRoots Magazine, one of the most prestigious world music outlets worldwide, the great Chris Nickson writes these unforgettable words for an incredible review of “Canzoniere”.
“The band is sharper than ever, the arrangements all push the songs, and the production is like crystal; every element fits perfectly. It’s a grand gesture in the very best way, and a complete triumph. How could CGS top Quaranta? They’ve just done it”
“One need not chase those cherished moments when listening to Canzoniere. Overwhelmed comes in waves on this new 12-song set from one of world music’s most innovative artists, Canzoniere Grecanico Salentino aka CGS. What you hear is classic and futuristic, ancient and advanced, liberating and engrossing — songs you fall instantly in love with”
fantastic piece about our “Canzoniere” by David Weiss on SonicScoop. You can read here a fantastic interview to our brilliant producer Joe Mardin, highly recommended to any sound engineer or wannabe producer.
Of its many beauties, one of music’s most alluring features is its ability to overwhelm our senses. Becoming fully entranced by a recording is something that happens only occasionally, but when it does—well, that’s why a lot of us are in this business.
One need not chase those cherished moments when listening to Canzoniere by the Italian group Canzoniere Grecanico Salentino, aka CGS. Overwhelm comes in waves when listening to this new 12-song set from one of world music’s most innovative artists. What you hear is classic and futuristic, ancient and advanced, liberating and engrossing—songs you can fall instantly in love with.
“Canzoniere” was launched by CGS on October 27th.
The group’s roots date back to1975, when it was founded by Rina and Daniele Durante, in the Italian province of Lecce. In 2007, he handed over leadership of CGS to his son, violinist, percussionist and composer, Mauro Durante.
From there, Mauro reformed CGS into a seven-piece band—with a dancer—performing a contemporary version of southern Italy’s traditional “Pizzica” style of music and dance. The group has come to be recognized as Italy’s leading and longest-standing traditional music ensemble.
NYC-based music producer/arranger/engineer Joe Mardin had the hookup on CGS through Eric Beall, an old friend who is also the band’s New York-based publisher. Beall was arranging multiple co-writing sessions for Mauro in New York in the fall of 2015. Mardin was on the short list.
His credits with a wide range of acts were one qualifier, encompassing Queen Latifah, Aretha Franklin, George Benson, Chaka Khan, Jewel, Ofra Haza, Raul Midon and more. A proficient conductor, composer, songwriter and drummer, Mardin’s global musical knowledge prepared him for the audition.
So too did his lifetime of musical learning, taking place at the side of American music master Arif Mardin, Joe’s father whose 40+ year production and arranging career at Atlantic Records remade the soudtrack of our lives. Arif produced Aretha Franklin, the Bee Gees, Hall & Oates, the Modern Jazz Quartet, Bette Midler, Chaka Khan, Laura Nyro, Phil Collins, Barbra Streisand, and Norah Jones, winning 11 GRAMMY Awards along the way.
From that first meeting, what unfolded for Mardin and CGS was an international voyage of songwriting, producing, tracking, mixing, and discovery. The result was Canzoniere, literally translated as “Songbook” and living fully up to its name, with that aforementioned way of overwhelming again and again.
Mardin told us about his approach to managing international collaborations, and revealed a few of his key studio techniques as well.
The lead single of Canzoniere is “Lu Giustacofane”, released October 27 on Ponderosa Music&Art. You can hear it below:
Long Distance Collaboration Logistics
“Eric invited me to write with Mauro, I listened to their music and loved it — Pizzica, something I wasn’t really familiar with,” Mardin says. “CGS blends traditional instruments and melodies with modern production, traversing both folk and pop songs. A great project! At this point, I was just a co-writer and potential producer of any songs we might write together.”
Once Mardin had committed to the project, there were a number of logistical challenges to be solved. A workflow had to be established that would allow the songs to be written, recorded and mixed for maximum time and cost-effectiveness, even though the action was unfolding over two continents.
While the band wrote some material in Italy, a significant percentage of it — and portions of some of the final tracks — came from the writing sessions and studios of some of Durante’s various New York songwriting collaborators.
The roots behind Canzoniere Grecanico Salentino aka CGS run deep.
“Mauro and I met at my studio in New York, NuNoise and first started work on a song that was in progress, Intra La Danza which I’d help finish,” explains Mardin. “We then started and ended up writing two more songs from scratch. Later I’d help him finish another incomplete song that I thought had promise which he had started writing with the artist, Piers Faccini in England. All four ended up on the album.
“Mauro would take the sessions he started here with the various co-writers and overdub the rest of the band onto the songs back home in Italy,” he continues. “He’d then send MP3’s to the respective co-writers so we could hear the progress. He’d send me the session files or bring them on his next trip, I’d usually import them into the original sessions and we’d continue.
“Somewhere in that process, which involved Mauro coming to New York three times over the span of about a year, he asked me to produce the entire album as a way to bring continuity to—not only all of these songs which employed somewhat varying production styles—but also to the traditional ones we would cut live. Consulting with Eric (Beall) and Mark Gartenberg [CGS’ US manager/publisher] as well as with the head of CGS’ label, Titti Santini at Ponderosa Music&Art, we went into the song selection process.”
Mardin and the team gathered up the session files from the other cowriters as well as the demo sessions for the songs written in Italy, typically arriving as Pro Tools sessions but also as track bounces if they were done in an alternate DAW such as Logic. From there, they determined what they could keep, what they’d need to re-record, and what needed new ideas.
Tracking in Italy
In December 2016 Mardin arrived in Italy for two weeks, with a recording road map all ready to go.
Recording was primarily carried out in Daniele Durante’s basement Pro Tools studio, while overdubs and traditional tracks were cut live at Sudest Studio in Lecce. “Sudest is a great large room which also has a large iso booth — really another room,” says Mardin. “They have an Amek console and a bunch of good mics and outboard. The band also got a last-minute offer to do a gig in Sicily during the recording which they didn’t want to refuse — so it was pretty hectic but a lot of fun and great food of course!
Joe Mardin, in foreground, produced “Canzoniere” as part of a well-coordinated global effort. Engineer Francessco Aiello is with him at the console.
“The brilliant cellist, Marco Decimo also came in from Milan to play on several tracks including on an arrangement I wrote for violin, cello and clarinet on the song, Tienime. Guitarist Justin Adams (Robert Plant, Jah Wobble’s Invaders of the Heart) also came to town to play on the song Aiora.
“In the basement studio, we had some API and Avalon pres, various mics and we rented a Distressor, an 1176 and a couple of GA ribbon mics. The engineering duties in Italy were being split between myself and CGS’ engineer, Francessco Aiello. Let me please give a shout out to the good people at Tedes in Milan and at Soyuz Microphones who kindly loaned us the excellent Soyuz SU-017. We used it on vocals, cello, violin, percussion; a very high class mic that is all over the album.”
Back at NuNoise before Christmas, Mardin went into admin mode, digging into the task of organizing and editing the sessions in preparation for mixing. He sent Mauro Durante MP3’s of his progress prior to his arrival in New York for the final mixing, a process that was ultimately finished after Durante returned to Italy (he and his wife, Silvia Perrone who is the dancer in CGS were expecting and their son, Samuele was born in June.)
“I was sending mixes to Mauro and the band and ultimately to the label for comments and approval,” Mardin notes. “It was a privilege to be charged with shepherding the tracks created by Mauro’s super talented co-writers — Scott Jacoby, Steve Skinner, Michael Leonhardt and Rasmus Bille Bahncke — all of whom are producers in their own right and some who are very good friends of mine. Toward the end, we sent everybody mixes and asked for their blessing. I hope I did their great work justice.”
Song Genesis
Emblematic of Canzoniere’s inventiveness is the lead track “Quannu Te Visciu.” Instantly captivating the listener, it’s gorgeous weave of vocals and rhythm sends a strong signal that this is a world music album with something extra.
Bandleader, percussionist, singer and songwriter, Mauro Durante on violin at Sudest Studio.
“‘Quannu Te Visciu’ was the first song Mauro and I wrote together from scratch,” says Mardin. “I had recently heard a piece of contemporary classical music which incorporated some spoken word, coincidentally enough in Italian and I suggested that we experiment with something similar as a starting point. That ended up becoming the vocal loop on the track performed by CGS singer, Alessia Tonde which opens the album. By the way, the majority of CGS’ lyrics are not in Italian per se but in Selentino, a dialect of Sicilian.
“We started with some percussion loops Mauro had played and pre-recorded. Mauro also came up with the lyrical idea for the vocal loop which he recited as a guide. We looped that too. The rest is the blur of singing stuff, playing each other ideas on various instruments, recording stuff and shaping it into something.”
Each of Mardin and Mauro Durante’s collaborations were written with the individual members of the group in mind. “Mauro was always thinking, ‘Giancarlo (Paglialunga) could sing this part,’ ‘this would be great as a part for Giulio (Bianco) on zampogna’ [Italian bagpipes], etc…” Mardin relates of the creative process. “Learning about these new — to me — instruments and the great talents of this wonderful group of singers and multi-instrumentalists, I was trying to be mindful too.”
Massimiliano Morabito tracking organetto.
For “Quannu Te Visciu” Mardin loaded a standard accordion sample to play the chords they were coming up with, which were then expanded upon by Massimiliano Morabito on organetto, an Italian folk accordion. “Great fun!” enthuses Mardin. “Mauro would put down some pizzicato violin parts which functioned somewhat like a funky guitar part. I think I also put down some additional chordal ideas which Emanuele Licci (bouzouki, guitars, etc.) would later expand upon on the bouzouki.
“Mauro would be coming up with lyrical ideas and which singer’s range would best suit certain melodies. We put the song in one key but once back in Italy with the band, Mauro changed the key so as to better match the singers’ ranges to the melodies and harmonies. With Quannu as with the other songs, I know Mauro rehearsed the band on all of the parts we’d be recording when I’d come to Italy.
“We came up with some of the background vocal arrangement in New York but I have to credit Mauro and the band for coming up with some of the more, not dissonant but harmonically rich notes in the Quannu harmonies. Beautiful!”
Mixing at NuNoise in NYC
While Mardin modestly classifies his NYC facility, NuNoise, “nothing out of the ordinary,” the fact is that it’s an inspiring personal studio. Providing an ideal analog/digital hybrid, grand piano, and drums in a compact space, Mardin is well equipped to write, record, mix and explore at NuNoise.
The command center at Joe Mardin’s NYC studio, NuNoise.
Helmed by a Digidesign Command 8 control surface, Klein+Hummel 0300 monitors, and Bantam patchbay, Mardin has a host of tightly curated analog pieces to choose from. Goodies on hand are mic pres including API 512 C, Neve BAE 1073, Chandler TG2, Mercury M72, UA 2-610, and the Shadow Hills Mono Gama.
Outboard highlights include dual Blackface 1176 limiting amplifiers he purchased when Atlantic Studios closed, and a pair of vintage Altec compressors formerly at Greene Street Recording, the latter of which Mardin uses as OTB inserts for vocals or key elements. Mardin specified a Retro Instruments 176 Limiting Amplifier for the lead vocal on “Quannu” and several other songs. “The lead vocal switching from singer to singer on an individual song happens on several tracks on the album, and is a CGS signature,” Mardin comments.
Benchmark and Lynx converters, along with Antelope clocking round out the setup. In general, Mardin will use all of the above for tracking, then set up a few outboard items for mixing and run the mix bus into outboard stereo compression.
Outboard on hand
To mix “Quannu Te Visciu,” Mardin made the most of the tools at hand, with the approach for “Quanna” mirroring the same basic setup for each song. “Dedicated OTB inserts or sends and returns via a Lynx Aurora 16 for the two 1176s,” he says. “The 176 on Alessia’s tracks on ‘Quannu’ which includes the rap singing in the verses and the singing in the choruses, for the Altec 1612A limiting amplifier — a real favorite which you can’t use on everything but is great when it works — on the vocal loop and for my coveted Ursa Major Space Station [digital reverb] used only on the organetto on this track.
“Plug-ins on this mix are mainly from Waves and MacDSP as well as SoundToys’ DeviLoc — a personal favorite — and Little Radiator,” he continues, “Plugin Alliance’ Vertigo on sampled bass, the Sony Oxford compressor/limiter, SofTube’s Dynamite and Saturation Knob, the former on the pizzicato violin and the bouzouki. Another real favorite of mine but not on this song is the Kush UBK-1.
“The reverb for the chorus bouzouki and background vocals and on the daf was a Waves RVerb hall at 2.4 seconds with a 28 ms pre-delay. An Altiverb cathedral impulse and the Space Station were only on the organetto which also plays only in the choruses; it is a dry-verses-big-open-choruses concept.”
Joe Mardin: “These were Arif’s Dolby SR cards. Before switching to Sony 48 track digital and Pro Tools, Arif liked the sound of SR, but the cards were known to be sonically inconsistent and so he had his own set which would go from the mix room to the mastering room. I sometimes use them strictly as an effect to either get more bottom or more high end depending on if you’re decoding or encoding the signal.”
Inside Pro Tools, Mardin set up a typical four stereo sub-master (aux) configuration: Drums & Bass, Music, Vocals, and Effects routed to two outputs on the Lynx going to an Obsidian compressor and a Pendulum Audio peak limiter — all coming back to Pro Tools via the Benchmark AD.
Tune in now for some wise compression insights. “The Obsidian was adding a little color but neither box was doing much,” says Mardin. “I find taming dynamics with a few devices/plug-ins in series doing a little, to be a little more transparent than having one do a lot. I started with a similar approach on individual tracks but then would also utilize compression in and out of the box, in series and in parallel for color.
“On this project I started using the TDR Kotelnikov compressor on the submasters as well. I found it to be pretty transparent in helping to even things out. Because Mauro and I had decided we wanted to master at Sterling Sound, I had the luxury of deferring somewhat on exactly how far to push the brightness and loudness envelope.”
Outside the Norm
Despite Mardin’s expertise, tracking and mixing Songbook was not without its challenges. With its dizzying array of classic European folk instruments — most of which are virtually unheard of in today’s mainstream music sphere — Mardin had some new sounds and musical contexts to get his head around.
Giancarlo Paglialunga on tamburello in the large iso booth at Sudest
Studio. Mics were a Sennheiser MD-421, Coles 4038 and the Soyuz SU-017 (not pictured) for
the room.
“The main percussion instrument in Pizzica is the tamburello which is a frame drum of varying sizes with a tambourine bell lined frame,” he observes. Throughout Songbook,the basic grooves, functioning somewhat analogously to kick, snare and hihat parts are played on the tamburello. Of course, there are other percussion instruments on the album — the daf supplements backbeats on Quannu and on other tracks for instance — but it’s by design that there are no snare drums and just an occasional supplementary kick sample to subtly support the tamburello on certain tracks.
“The tamburello is a challenging instrument to mic if you need it to have as much bottom and impact and ultimately function analogously to a conventional bass drum in a pop-style mix. When I recorded it, I’d have a 2-3 mics to help capture the spectrum of sounds/parts being generated. Whether with multiple mics or just one, in the mix I often used multiband compression and other tricks to get the various musical and sonic elements of a tamburello performance to sit satisfyingly in the (pop) mix.
“The ‘challenge’ or dilemma, really was that the more impact I would get out of the tamburrello or the daf, the more it tended to sound like conventional kicks and snares and Mauro was rightly conscious that these instruments should not lose their character, their connection to the band’s roots. It was a fun and new challenge and I think we struck the right balance between sonic impact and traditional authenticity.”
The album called for recording many traditional Pizzica instruments. Here, Emanuele Licci on bouzouki at Sudest Studio, tracking into a
Neumann M147. There was also a direct feed.
The project received the finishing sonic touches at Sterling Sound, where Joe LaPorta mastered — a step in the chain that Mardin sees as anything but an afterthought. “Joe and I had worked together once or twice before and it all came together,” Mardin states. “At a place like Sterling, not only do I get Joe’s expertise but with the advantage of being in a more neutral and revealing listening environment, he will also have tools to add perhaps a smoother final bit of high end than I might be able to do.
“Without defaulting to a ‘fix it in the mix (mastering)’ attitude, I would observe this type of separation of process between mixing and mastering with some of the great engineers I’ve been lucky enough to work with and watch. I think of it being akin to the great cinematographers, how they might expose film and then have the lab process it specifically to achieve the desired end result — in this sense, I do miss the creative sonic options tape offers. Joe did a great job, EQing subtly and limiting only for loudness.”
Artists’ Advocates
Much like the musical DNA of Canzoniere was steeped in equal parts tradition and advanced thinking, so too is that of the album’s producer himself. Joe Mardin began observing and collaborating with one of popular music’s most influential producers ever, his father Arif Mardin, from a young age. It’s an utterly unique vantage point that informs all the art he touches.
“The Greatest Ears in Town” shares Arif Mardin’s huge influence on music, from inside the studio.
“My father is always in the back of my mind,” states Mardin, who produced and directed the 2010 GRAMMY nominated film, The Greatest Ears in Town: The Arif Mardin Story in tribute to the GRAMMY-winning producer who passed away in 2006. “It’s not so much on a project-to-project basis, but on things he considered priorities, what he’d say about the producer’s job: ‘I work for the artist but I’m not a yes man.’ If you have a creative disagreement with the artist, you make your case, verbally and maybe musically, too, but at the end of the day it’s the artist’s record, their name and face on the cover.
“He was, as was George Martin, as is Quincy Jones, an advocate for the artist. If the vocal was getting soft in a mix he would say, the artist has to ‘own the record.’ These things always echo in my mind: ‘Whose record is this and for whom are we making it?’
“When we were working on the end of ‘Quannu,’ I came up with that sung repeat of the title, a quick whole step up excursion which returns to the original key. I think he was in my head musically when that came to me.”
For Joe Mardin, spanning space and time with CGS was worth all the miles and careful logistics – especially the effort that kept him face-to-face with international master musicians. “The essence and beauty of this album is the collaborations on different continents,” he reflects. “But I’m also old school in that I think there is still value in the level of subtlety and service that the producer being present whenever possible provides.
“Mauro originally thought I’d only be available to come to Italy for a week but we happily settled on two weeks, and that extra time together was invaluable. And good for me! I got a second week in magical Italy!”
The champions of southern Italy’s pizzica tradition have become an institution, though one that shows no signs of going stale. Leader Mauro Durante co-composed the material here with assorted New York tunesmiths, including producer Joe Mardin, who brings a polished but not over-glossed sound to the hand drums and vocal harmonies. Opener Quannu te Visciu turns a Puglian chant into near hip-hop, and the church-like voices are as likely to be denouncing corruption as praising sun, moon and sea. There is fierce fiddle, jaunty squeezebox and thunderous drumming, plus guest electric guitar from Justin Adams. As the tomato sauce cover suggests, a rich harvest.
fantastica recensione su Blogfoolk a cura di Salvatore Esposito, minuziosa e ricca di particolari. Da leggere e gustare con attenzione, contiene anche un’approfondita intervista a Mauro Durante.
Canzoniere Grecanico Salentino – Canzoniere (Ponderosa Music & Arts, 2017)
A distanza di due anni e mezzo dalla pubblicazione di “Quaranta” che celebrava gli otto lustri di attività artistica ininterrotta, il Canzoniere Grecanico Salentino torna con “Canzoniere”, nuovo album composto da dodici brani, in larga parte originali, nei quali sperimentano con sorprendente brillantezza l’incontro con la forma canzone e sonorità maggiormente calate nella contemporaneità. La storia recente della formazione salentina è ormai nota: dopo la rifondazione operata da Mauro Durante che nel 2007 raccolse il testimone dal padre, il gruppo ha conosciuto un rapido crescendo che lo ha portato ad affermarsi nel panorama della world music internazionale, tanto per la qualità dei loro dischi, quanto e soprattutto per il travolgente impatto sul pubblico dei loro live act. Insomma, se già dieci anni fa avrebbero potuto sedersi sugli allori e vivere di rendita capitalizzando l’eredità della line-up storica, ancor di più potevano farlo adesso. Al contrario, invece, hanno rilanciato la sfida e messo in cantiere un album ambizioso nei temi come nelle architetture sonore. Muovendosi tra New York e Lecce, Mauro Durante ha lavorato alla scrittura dei brani con un approccio del tutto nuovo e che lo ha visto lavorare insieme ad alcuni tra i più apprezzati produttore della scena americana. Successivamente ha riportato tutto a casa e con il gruppo ha dato vita a questo disco che segna un ulteriore e prepotente balzo in avanti per quella che FRoots ha definito “una delle migliori band del mondo”. Abbiamo intervistato Mauro Durante per farci raccontare la genesi di questo album, soffermandoci sulle sessions e le ispirazioni alla base di vari brani, senza dimenticare di farci rivelare qualche succosa anticipazione sulle future mosse del gruppo.
Partiamo dalla genesi del nuovo album. Come ha preso vita “Canzoniere”?
L’idea nasce alla fine dell’estate del 2015, subito dopo il tour nel quale abbiamo presentato “Quaranta” riscuotendo grande successo in tutto il mondo. Avendo molte richieste per i concerti, vidi che non era possibile coniugare questa cosa con l’impegno di andare in tour anche con Ludovico Einaudi. Quindi allentai quella collaborazione che divenne più saltuaria, per concentrarmi di più sul Canzoniere. Arrivato ad ottobre decisi di andare per la prima volta a New York seguendo il consiglio del nostro manager americano che mi aveva proposto di fare delle sessioni di scrittura insieme ad alcuni produttori e musicisti statunitensi. L’idea era quella di coniugare la mia scrittura con la forma canzone vera e propria, il tutto senza però snaturare quello che noi eravamo. In questo modo non avremmo perso la nostra cifra stilistica ma saremmo diventati più comprensibili anche per coloro che erano meno esperti di world music. Un po’ per la curiosità di tornare a New York per lavorare, un po’ per il fascino della sfida sono partito e con me è venuta anche Silvia. Siamo restati là per circa un mese ed ho avuto modo di incontrare alcuni di produttori e tra questi c’erano Joe Mardin che poi ha prodotto il disco, Michael Leonhart e Steve Skinner che hanno poi finito di essere i coautori di alcuni brani. Loro avevano voluto incontrarmi perché avevano ascoltato i nostri dischi ed erano rimasti affascinati e desideravano poter lavorare insieme. Per questo tipo di collaborazioni non si paga e l’accordo tacito è che se poi viene fuori una canzone si è co-autori, se va male non fa nulla. E’ molto bello questo atteggiamento, perché in tre o quattro ore si può venire fuori almeno con una idea di canzone.
Ci puoi raccontare come si sono svolte le sessions?
É stata un’esperienza molto intensa e veramente stimolante. Quando sono tornato a casa avevo in mano già le bozze di otto o nove brani che avevo scritto senza la pretesa che diventassero l’album del Canzoniere o qualcosa di questo tipo. Era stata solo un’esperienza, ma volevo far ascoltare quei brani anche ai ragazzi del gruppo e nonostante potessero suonare diversi rispetto a quello che facevamo abitualmente, sono state recepiti con grande entusiasmo. Mi hanno invitato ad andare avanti con questa esperienza per vedere cosa potesse uscirne fuori. Da lì in poi per un anno sono andato e tornato da New York. Ho trascorso quattro mesi in totale nella Grande Mela e là ho avuto modo di incontrare anche altri musicisti e produttori come Scott Jacoby e Rasmus Bille Bähncke che hanno partecipato anche come co-autori di due brani. Il disco ha preso, così, vita da Lecce a New York, tornavo con i brani e ci lavoravamo, in alcuni casi i testi li ha scritti Alessia Tondo, in altri io, e con il gruppo modificavamo delle cose. Altri brani come nel caso di “Tienime” li abbiamo scritti da soli ed incisi a Lecce. Tornavo poi negli Stati Uniti e continuavo a scrivere, insomma è stato tutto veramente fantastico, fino a quando non abbiamo completato il tutto a dicembre 2016, quando Joe Mardin è venuto poi in Salento per quindici o venti giorni e insieme a lui abbiamo fatto le registrazioni finali per chiudere il disco. Sono tornato per l’ultima volta a New York per i missaggi durante il quale Joe ha fatto veramente un gran lavoro e poi il disco è stato masterizzato da Joe Laporta che è stato l’ingegnere del suono di “Blackstar” di David Bowie con il quale ha vinto anche il Grammy Award. A tutti gli effetti si può dire che è stata una produzione internazionale.
Non hai avuto il timore che si potesse avere la sensazione che questo fosse interpretato come il disco di Mauro Durante con il Canzoniere Grecanico Salentino e non come un lavoro corale?
La bellezza di questo gruppo è che ognuno può esprimere sé stesso in maniera piena. Quando si assiste ad un nostro concerto è difficile dire chi è il leader perché siamo una realtà che vive di gruppo sul palco e tutti abbiamo la stessa importanza. Nelle scelte da fare e nelle idee, però, è il leader che deve dare la direzione. Anche in passato ho sempre scritto io i brani del gruppo, salvo in casi come “Pizzica a Marino” di Massimiliano Morabito o “Pu è to rodo t’orio” di Emanuele Licci. In questo nuovo disco proprio Emanuele ha scritto la melodia delle strofe di “Tienime” così come l’arrangiamento per chitarra. Alessia il testo ed io altre parti musicali con Emanuele. “Pizzica de sira” è un brano tradizionale, mentre il resto dei brani sono miei. Non saprei dirti se c’è più di mio rispetto ai dischi precedenti, quello che posso dire è ci ho suonato di più rispetto al passato. Nei brani che non sono delle pizziche, ad esempio, il tessuto ritmico è tutto costruito dai miei tamburi a cornice che ho sfruttato per creare dei groove. Questa è una cosa che non avevo mai fatto finora. Con il Canzoniere mi sono sempre concentrato più sul violino, perché c’è Giancarlo che suona il tamburello divinamente. Ma in questo caso avendo sperimentato con le ritmiche me ne sono fatto carico io. Gli altri interventi sono stati scritti dai vari strumentisti, come nel caso degli arpeggi di Emanuele che sono davvero fantastici, o dei soli di Massimiliano Morabito e di Giulio Bianco. Allo stesso modo i cantanti hanno dato l’anima nei vari brani ed è stato importante perché era nostra intenzione incontrare la forma canzone.
Quali sono le differenze tra questo nuovo album e i precedenti?
Ogni album ha la sua storia ed è necessario sempre trovare un certo equilibrio. Sostanzialmente “Canzoniere” è un disco nato in studio, quindi molto curato nei dettagli, mentre “Quaranta” è stato concepito e scritto per essere registrato in presa diretta. In questo senso mi piace molto citare David Byrne che considero un mio mentore soprattutto per ciò che riguarda il rapporto con la musica, e trovo illuminante quando dice che essere geniale vuol dire sapersi muovere all’interno di alcuni limiti autoimposti o di fatto. E’ chiaro, dunque, che già dalla scrittura bisogna sapere in quale senso procedere, perché non avrebbe senso inserire in un brano qualcosa che non si può fare, oppure pretendere di far cantare in una tonalità non adatta. Questo nuovo album ha liberato alcune altre possibilità di scrittura e di creazione e ovviamente ha limitato altri aspetti, come il non avere in alcuni casi la possibilità di suonare senza metronomo. In ogni caso anche in questo disco “Pizzica de Sira” e “Aiora” sono state registrate in presa diretta, e hanno un colore diverso e un impatto particolare. Quando penso ad un nuovo progetto cerco sempre di contestualizzarlo anche dal punto di vista del live e i brani di questo nuovo disco saranno un canovaccio su cui poi ognuno dal vivo potrà mettere del proprio, perché la dimensione del Canzoniere Grecanico Salentino è sempre corale.
Novità ulteriore di questo disco è la presenza di Alessia Tondo alla voce, nonché alla scrittura dei testi di alcuni brani…
Alessia si è trovata ad entrare nel gruppo in corsa, pochi giorni prima che uscisse “Quaranta”. Lei è una ragazza fantastica, e già al suo ingresso ha aggiunto molto della sua personalità e le cose hanno cambiato colore. Ad esempio il testo di “Aiora” l’aveva già scritto pochi mesi dopo che era entrata nella line-up, ma non mi ha sorpreso questa cosa perché conoscevo già le sue qualità come autrice dai tempi in cui ho collaborato con lei per la Notte della Taranta, e l’ho sempre stimolata a scrivere. La scrittura di questo disco è stata concepita fin dall’inizio per il suo canto. La bellezza di questo album risiede anche nel calore e nella particolarità della sua voce che lei ci dona e che non avevamo prima.
Un elemento significativo per comprendere il concept del disco è la copertina…
Si tratta di un’opera d’arte realizzata nel 2015 da un collettivo di arte contemporanea che si chiama Casa A Mare. Tramite Silvia e sua sorella Laura sono entrato in contatto con loro, sono andato a vedere una loro mostra e questa foto della salsa di pomodoro nella bottiglia di Coca Cola su sfondo verde mi aveva sempre colpito. Poi piano piano ho avuto l’intuizione che potesse essere la copertina giusta per questo disco, in quanto raccontava bene quello che stavamo facendo, ovvero prendere qualcosa di fortemente identitario come la salsa di pomodoro e confrontarla con il contenitore globale che può essere la forma canzone e il rapporto con gli Stati Uniti. Insomma un incontro tra mondi opposti che è potenzialmente esplosivo, del resto la salsa di pomodori è sempre la stessa anche all’interno di una bottiglia della Coca Cola. Noi restiamo gli stessi con le nostre caratteristiche forti anche all’interno di un linguaggio contemporaneo.
Come si è indirizzato il tuo lavoro di ricerca a livello ritmico?
Volevo che questi brani avessero una grossa spinta ritmica e quello che ho cercato di fare è coprire le frequenze che potessero dare questo impatto con i miei tamburi. Ho aperto tutte le mie sacche dei tamburi e ho cominciato a giocare. Quando andavo alle varie sedute di scrittura portavo con me i sei, sette tamburi e provavamo a registrare qualcosa che potesse essere una base ritmica su cui costruire i pezzi. Quindi il suono dei tamburi stratificato ha dato vita a quel groove che si sente nel disco. Non avevo in mente un punto di partenza preciso, ma mi mettevo semplicemente a suonare e quello che veniva fuori e ci piaceva di più lo tenevamo. Il primo brano “Quannu Te Visciu” parte con un loop vocale e sulla base di questo ho costruito tutta la ritmica. Brano per brano ho cercato di far emergere un impatto ritmico quanto più potente possibile che in qualche modo potesse smuovere l’ascoltatore. Quando avevo bisogno di frequenze più basse ho usato le calebas suonata con il pugno da Giancarlo, quando avevo necessità di un effetto da battito di mani quasi scrosciante mi sono servito dei sonagli del daf. Poi nelle pizziche c’è il tamburo di Giancarlo, che sa trascinare in modo unico. Tutto l’insieme di questi suoni ha creato il tratto distintivo principale del disco a livello ritmico.
Altro elemento che colpisce è la doppia lettura dei vari brani, un esempio ne è proprio l’iniziale “Quannu Te Visciu”, una canzone d’amore nelle cui trame si nasconde una critica contro chi sui social pontifica su tutto…
Stiamo perdendo i maestri perché non riconosciamo più l’autorità in chi parla, sia esso un medico,
uno scienziato, un esperto in una materia specifica, da ascoltare per imparare magari qualcosa. Oggi siamo tutti maestri solo perché abbiamo letto qualcosa su Wikipedia e giudichiamo in base a quello che guardiamo in TV. Se si parla di calcio siamo tutti allenatori in grado di fare la migliore formazione, ma ormai ognuno si prende la libertà di parlare anche di cose di cui non sa nulla. Perdere la capacità di ascoltare è una delle malattie di questo tempo. Un rifugio da tutto questo caos è appunto l’amore, guardare negli occhi chi si ama e tornare a respirare, lontano da ciò che ci stressa o ci infastidisce. E’ qualcosa di quasi magico. Non è un caso che il secondo brano “Ientu” esalti la contemplazione, il saper ascoltarsi e il saper ascoltarci.
Parlavi di maestri di maestri e capacità di saper ascoltare gli insegnamenti. Da figlio d’arte quanto ai saputo ascoltare i tuoi maestri..
Moltissimo perché ne ho avuti e ne ho moltissimi a partire da mio padre Daniele Durante e mia madre Rossella Pinto, per arrivare a Ludovico Einaudi che è anche un grande amico, ad Accordone e allo splendido rapporto con Piers Faccini. Da tutte le persone che stimo cerco sempre di rubare quanto più è possibile, di imparare e ascoltare. Si impara prima di tutto con gli occhi e con il cervello. Quando scopro qualcosa che mi emoziona ho sempre voglia di capire come ho fatto ad emozionarmi, cerco di capire qual è la ricetta magica. Oggi dobbiamo ascoltare i maestri e anche se è difficile individuarli perché molti si improvvisano, è anche vero che un Erri De Luca, quando apre la bocca devi solo ascoltarlo. Nella mia formazione sono stati importanti anche maestri indiretti come David Byrne del quale ho letteralmente spolpato il suo libro “Come funziona la musica”. E’ importante scegliere punti di riferimento importanti e poi crearsi una propria visione.
Avete scelto come singolo il brano “Lu Giustacofane”. Ci puoi raccontare questo brano?
E’ un brano sul riuso, sulla capacità di riparare e del prendersi cura, e riguarda sia gli oggetti, sia le relazioni quelle interpersonali e quelle con l’ambiente circostante. E’ anche l’esaltazione del saper resistere ai colpi della vita e tenere duro e proteggere tutto ciò che vale la pena lottare, anche quando siamo feriti. Emblematiche in questo senso sono le lotte del movimento No Tap. C’è un sistema di vita che è durato per secoli e che ora è sotto attacco per scelte economiche spregiudicate, e i videomakers (Acquasintetica) sono riusciti a rendere tutto questo molto bene nel video. Sono riusciti ad evocarlo attraverso l’uso surreale di teste giganti piantate nella terra che rappresentano dei totem delle nostre radici, la nostra cultura e la nostra eredità da difendere.
Tra i brani più autobiografici del disco c’è “Con le mie mani”…
E’ sicuramente uno dei brani più autobiografici del disco ed è legata a tante cose che riguardano il mio modo di vivere. Il disco ha alcuni fili conduttori e uno di questi è certamente le mani inteso come essere in contatto, saper resistere, saper aggiustare, saper prendere in mano la propria vita e viverla appieno. E’ una sorta di fase b del tarantismo 2.0 di cui parlavamo in “Taranta”. Attraverso le mani possiamo prenderci cura l’uno dell’altro e plasmare le nostre vite. Nel caso di questa canzone l’ispirazione mi è arrivata da Erri De Luca ed in particolare tanto a me quanto a Silvia ci ha sempre colpito la frase in cui dice che il suo verbo preferito è mantenere, tenere per mano. Questo cosa mi ha colpito molto perché le mani servono a mantenere, a tenere il timone dritto per andare avanti, ma anche a plasmare e far crescere tutto ciò che mi circonda da mio figlio Samuele alla musica, dalla famiglia al gruppo.
“Pizzica De Sira” arriva dal repertorio storico del Canzoniere Grecanico Salentino. Come mai hai deciso di rileggere proprio questo brano?
E’ stata una scelta prettamente musicale. Si tratta, infatti, di una delle poche pizziche che presenta una estensione vocale molto ampia da su a giù. Sin da piccolo mi ha sempre colpito la sua festosità e il suo invito alla danza. E’ il racconto di una storia d’amore nata tra i balli nella quale emergono le dinamiche del corteggiamento e il finale in cui si canta “me ne vado in galera a vita pur di baciare questa donna”. Ad impreziosire l’arrangiamento c’è l’armonica di Giulio Bianco che ha impresso una grande carica al brano.
In questo disco si rinnova la collaborazione con Piers Faccini in “Subbra Sutta”…
Andai da Piers tra novembre e dicembre del 2015 perché voleva registrare delle cose e provare a scrivere qualche brano per il suo ultimo album “I Dreamed An Island”. Gli piaceva l’idea di multiculturalità e di usare più lingue e in quell’occasione vennero fuori le bozze di un paio di brani. Uno di questi era l’embrione di “Subbra Sutta”, che è finito tra i tanti progetti di canzone che avevo in mano, ma non riuscivo a trovare una struttura definitiva e quindi lo avevo messo da parte rispetto a quelli che sarebbero dovuti entrare nel disco. Il produttore Joe Mardin ha voluto ascoltare anche la cartella degli scarti ed è rimasto molto colpito dal potenziale che poteva avere quel brano. Dopo averlo sistemato insieme a lui abbiamo creato le basi per poter aggiungere i vari strumenti come il solo di Giulio, gli arpeggi di Emanuele e l’organetto di Massimiliano. E’ un brano nato a sei mani ma è stato alla fine arricchito da tutto il gruppo.
“Sempre cu mie” è il vertice poetico del disco…
E’ una canzone d’amore e anche in questo caso è difficile poter dire che cosa in particolare me l’abbia ispirata perché è bello che ognuno ci veda dentro quella che è la sua storia. Quando l’ho scritta però pensavo ai miei nonni ormai anziani che si sono amati per tutta la vita e li guardavo spaventati per l’avvicinarsi della fine della loro vita, ma allo stesso tempo legati l’uno all’altra. Si tenevano sempre per mano e lo hanno fatto fino alla fine.
Come si articoleranno i concerti con cui presenterete questo nuovo disco?
Questo nuovo album ci da la possibilità di aumentare la varietà e la profondità del nostro concerto con altre atmosfere e altre suggestioni, ovviamente non mancheranno i punti di forza del nostro gruppo con i brani più istintivi e che sono il nostro marchio di fabbrica. Nelle prossime settimane cominceremo a lavorare all’allestimento ai Cantieri Koreja a Lecce, prima di debuttare con due repliche. Non vediamo davvero l’ora di cominciare perché penso ci sarà molto da divertirsi insieme al pubblico, cosa che noi adoriamo.
Concludendo. Sei impegnato attualmente in progetti paralleli?
Per ora sono completamente assorbito dal lavoro per il nuovo spettacolo, ma la mia idea è quella di registrare il “Progetto Puglia” che abbiamo portato sul palco in diverse occasioni da La Notte della Taranta di qualche anno fa a La Notte di San Rocco dello scorso agosto. Mi piacerebbe fissare su disco quegli arrangiamenti che abbiamo creato, così come vorrei registrare un progetto dedicato ai Canti di Passione con l’ausilio di alcuni elementi di coro polifonico con i quali abbiamo lavorato per presentare questo spettacolo durante la settimana santa a Taranto. Ovviamente sono progetti che non vedranno la luce a breve, bisognerà aspettare ancora un po’.
Canzoniere Grecanico Salentino – Canzoniere (Ponderosa Music & Arts, 2017)
Nella copertina che riprende l’opera “Coca-Cola, 2015”, realizzata dal collettivo artistico Casa a Mare è racchiuso tutto il concept di questo disco. Laddove, infatti, la bottiglia della famosa bibita americana rimanda alla modernità e il sugo di pomodoro riannoda i fili con la tradizione, allo stesso modo il Canzoniere Grecanico Salentino ci svela nel nuovo album “Canzoniere”, una messe di dodici brani, fortemente legati all’identità e alle radici della loro terra, ma nel contempo aperti alle interazioni sonore con la contemporaneità. Questa efficace metafora visiva racchiude una piccola grande rivoluzione compiuta nell’approccio al songwriting. Se nei dischi precedenti avevamo colto la loro capacità di scrivere brani che entravano a pieno titolo nello straordinario corpus di canti della tradizione salentina, in questo nuovo lavoro le radici diventano la base di partenza per una ricerca a tutto tondo che dalle sperimentazioni sulla forma canzone si estende alle interazioni con sonorità che spaziano dal pop al rock, dal funk alla world music. Le strutture della pizzica pizzica e quelle di canti d’amore e di lavoro sono le fondamenta di brani dalla originale cifra stilistica nei quali spicca il brillante interplay tra corde, mantici e fiati, il tutto supportato dai groove del tamburo a cornice, mentre sullo sfondo si stagliano ora la chitarra elettrica, ora il synth bass. Da abile architetto sonoro, Mauro Durante ha messo a frutto l’esperienza accumulata sulle scene internazionali al fianco di Ludovico Einaudi, e con l’aiuto del produttore Joe Mardin ha confezionato un pugno di canzoni potenti, intense e vibranti dal punto di vista lirico, alle quali il resto del gruppo ha dato forma, vita e sostanza imprimendo l’inconfondibile marchio di fabbrica. Ad impreziosire il tutto la partecipazione di alcuni ospiti d’eccezione come Justin Adams (Chitarra), Piers Faccini (voce), Rasmus Bille Bähncke, Scott Jackoby, Michael Leonhart, Steve Skinner e Marco Decimo (violoncello). Ad aprire il disco è il loop ossessivo di “Quannu te visciu” con protagonista la splendida voce di Alessia Tondo che ci regala una canzone d’amore dalla doppia lettura, nella quale vengono messi alla berlina quanti discettano su tutto senza alcuna competenza. Arriva, poi, uno dei suoi momenti più intensi del disco con la poetica “Ientu”, nata dalla collaborazione con Michael Leonhart e cantata dalla voce antica di Giancarlo Paglialunga e nella quale brilla il brillante incastro ritmico incornicia il dialogo tra il violino pizzicato di Mauro Durante e l’organetto di Massimiliano Morabito. Una registrazione sul campo di Daniele Durante campionata in loop ci introduce a “Lu Giustacofane”, primo singolo estratto che ha anticipato l’uscita del disco, nel quale le voci di Giancarlo Paglialunga e Emanuele Licci danno vita ad un anthem dal ritornello ad uncino che promette di essere uno dei brani di punta dei prossimi concerti. Se “Con Le Mie Mani”, scritta con Steve Skinner, colpisce per la fascinosa costruzione strumentale e vocale in cui spicca il violoncello di Marco Decimo, “Tienime” è un canto d’amore tutto giocato sull’arpeggio della chitarra di Emanuele Licci e la voce di Alessia Tondo che ha firmato il testo. L’incontro tra il piano di Rasmus Bille Bähncke, il synth bass e gli strumenti tradizionali sono gli ingredienti principale del crescendo di “Moi” in cui le voci di Giancarlo Paglialunga, Emanuele Licci e Alessia Tondo guidano il suggestivo ritornello. “Pizzica De Sira”, l’unico brano tradizionale del disco, è una travolgente pizzica pizzica registrata in presa diretta con l’armonica di Giulio Bianco sugli scudi, ci introduce alla seconda parte dell’album nella quale a brillare subito è “Aiora” nella quale giganteggiano il violoncello di Marco Decimo e la chitarra di Justin Adams, mentre la voce di Alessia Tondo riflette sul destino. Non manca anche in questo disco la presenza di Piers Faccini che officia con Mauro Durante l’intreccio tra dialetto salentino ed inglese di “Subra Sutta”, mentre “La Ballata degli Specchi” vede la voce di Emanuele Licci protagonista di un viaggio interiore, quasi psichedelico nel quale si intrecciano voci e colori sonori che evocano una tarantella post-moderna. Il vertice del disco arriva, però, con “Sempre Cu Mie”, una canzone d’amore senza tempo il cui arrangiamento vede chitarra, violino, clarinetto ed organetto fare da perfetta cornice per le voci di Giancarlo Paglialunga e Alessia Tondo. Le croccanti sperimentazioni sonore di “Intra La Danza” chiudono un album pregevole che di diritto entra tra i lavori più belli di sempre della scena world italiana.