Suoni antichi, colori e danza. Dal 1975 a oggi la formazione “tarantolata” ha scelto un modo molto particolare per raccontare il presente. Per festeggiare, un disco, “Quaranta”, e un tour: il 27 febbraio al Folk Club di Torino, il 28 all’Arci Bellezza di Milano e l’1 marzo all’Auditorium Parco della Musica di Roma
Una cura al mal di vivere che dura da quarant’anni. Fatta di colori, di suoni antichi. E di danza: di quel momento in cui le distanze vengono annullate, ci si guarda negli occhi, offrendo l’un l’altro un sostegno reciproco. E da quarant’anni il Canzoniere Grecanico Salentino, una delle formazioni che hanno fatto la storia recente delle musica popolare, non smette di curare quel morso della Taranta. Un morso oggi metaforico, sinonimo dell’impatto della crisi, dell’assenza di soluzioni comunitarie ai drammi che attraversano la società. Sono in tour in Italia dal 26 febbraio e il sette aprile pubblicano il loro nuovo disco: Quaranta, appunto. Tredici canzoni, dieci inedite, nate anche attraverso la collaborazione di Ludovico Einaudi ed Erri De Luca. “Forme antiche per raccontare il presente”, dice Mauro Durante che con Emanuele Licci, Maria Mazzotta Giancarlo Paglialunga, Massimiliano Morabito, Giulio Bianco e Silvia Perrone, compone l’attuale formazione del Canzoniere
Durante, ancora in strada dopo quarant’anni…
“Sì, il gruppo è nato nel 1975. E per trentadue anni è stato guidato da mio padre che nel 2007, proprio come nelle tradizioni orali, ha lasciato a me la guida della formazione. Da allora il mio obiettivo è stato sempre quello di dare un respiro internazionale al progetto. Sempre rispettando la nostra impostazione di fondo: trattare la nostra tradizione musicale come un veicolo per raccontare la contemporaneità”.
C’è ancora bisogno di una cura al morso della Taranta?
“Certo: il tarantismo altro non è che la rappresentazione di un dolore che viene dall’esterno, di un veleno che invade l’anima e il corpo. Questo veleno veniva curato attraverso un rituale fatto di danza, musica, colori. E parte essenziale della terapia era l’abbraccio della comunità al tarantato: un abbraccio che lo reintegrava in società. Nessuno veniva lasciato indietro”.
Oggi quel mal di vivere esiste ancora?
“Ha solo cambiato forme. La crisi, la perdita di consistenza dei valori, lo spaesamento. Quello che abbiamo perso è la terapia, lo spirito comunitario, l’ambizione per la solidarietà. Quaranta esorcizza questi demoni ballando, cantando. E vuole essere un luogo in cui si reintegra chi soffre. Soprattutto attraverso la danza: perché nel ballo ci si sorregge a vicenda. Ci si mette in comunicazione, non esistono barriere di classe, siamo tutti alla stessa altezza”.
In Taranta c’è il pianoforte di Luduvico Einaudi. Il vostro approccio alla musica sembra essere su piani diversi.
“Lavoro con Einaudi dal 2009 come musicista nei suoi progetti. Nel 2010 è stato chiamato a dirigere la Notte della Taranta. Da allora abbiamo iniziato a collaborare anche ai miei progetti. E dal punto di vista musicale il terreno comune è il minimalismo: le cellule che si ripetono, con micro-variazioni, si avvicinano molto all’ipnotismo proprio della Taranta”.
Avete musicato una poesia di Erri De Luca, Sola andata, e lui ha scritto un’introduzione per il vostro disco
“Si tratta di una storia d’incontri. De Luca era diventato amico di mio padre che gli ha chiesto se noi potevamo musicare Sola andata. De Luca è stato entusiasta e ha poi proposto a una casa cinematografica di occuparsi del video. E qui nasce anche il nostro incontro con Alessandro Gassman che ha girato il videoclip”.
Il vostro successo all’estero è consolidato. In Italia esiste ancora un pregiudizio “nostalgico” sulla musica popolare?
“Sicuramente c’è una maggiore attenzione all’estero sulla world music. Basta sintonizzarsi su una radio italiana o su una radio francese. In Italia sì, c’è un un pregiudizio folkloristico: tra feste di piazza a tarallucci e vino e operazioni nostalgia.
La difficoltà è spiegare che queste sono operazioni in cui certo, si utilizzano strumenti, stilemi e linguaggi legati al passato. Ma non è questo l’importante: diventano solo un mezzo per raccontare il presente. Il Canzoniere è un gruppo del tutto contemporaneo”.